Sei curioso di scoprire perché in Italia si fa ricorso contro il numero chiuso di Medicina? Ti stai chiedendo come mai alcuni studenti bocciati riescono comunque a indossare il camice? O magari vuoi capire se oggi “vale la pena” tentare la via del TAR?
In questo articolo ti racconto, con lo sguardo di chi quel test lo ha già superato, come sono nati i ricorsi, quando hanno fatto davvero tremare il sistema e perché oggi la partita è più complicata.
L’alba dei ricorsi: la legge 264/1999 e i primi malumori
Fino alla fine degli anni ‘80 iscriversi a Medicina non era un’impresa impossibile: bastava il diploma giusto e tanta voglia di studiare.
Il sovraffollamento però stava diventando ingestibile, così nel 1999 la legge 264 istituì ufficialmente il numero chiuso nazionale.
Da quel momento chi restava fuori cominciò a bussare alle porte dei tribunali amministrativi: era nato il ricorso “moderno”.
All’inizio si trattava di piccoli gruppi, ma bastò poco perché la voce girasse.
Emblematico il caso del giovane avvocato Massimo Tortorella che tappezzò l’Italia di volantini “Non hai passato il test? Chiama questo numero” e si ritrovò con diecimila aspiranti medici al telefono.
Gli studenti ottennero un’ammissione lampo dal TAR, poi il Consiglio di Stato li rispedì a casa, finché un provvedimento ad hoc del Parlamento li salvò. L’idea che un giudice potesse ribaltare l’esito di un quiz prese così piede tra migliaia di famiglie.
Anni 2000: i contenziosi diventano di massa
Nei primi anni Duemila i ricorsi iniziano a ingranare.
Il test, organizzato ateneo per ateneo, mostrava lacune procedurali che gli avvocati non faticavano a smascherare: buste non sigillate a dovere, verbali incompleti, domande con errori di stampa.
Ogni sessione di prova diventava potenziale polveriera legale.
Le università cercavano di correre ai ripari, ma la mole di candidati esclusi (tre su quattro, in media) garantiva sempre un bacino enorme di potenziali ricorrenti.
Nel frattempo il “mercato” cresceva: nascevano studi specializzati, sindacati studenteschi avviavano maxi-azioni collettive low-cost e le parcelle iniziavano a muovere cifre a sei zeri.
2013-2016: quando il TAR fece crollare il muro
La vera svolta arrivò nel 2013, con l’introduzione della graduatoria unica nazionale e il pasticcio del “bonus maturità”.
Più di tutto, però, pesò la questione dell’anonimato violato: codici identificativi stampati sui fogli, carte d’identità poggiate accanto ai test, correzioni non del tutto cieche.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato stabilì che l’anonimato è sacro nei concorsi pubblici: da quel momento ogni sbavatura poteva innescare un ricorso vincente.
Il 2014 fu l’anno dell’apoteosi: plichi manomessi, domande trapelate nella notte e un TAR Lazio che riammise migliaia di bocciati “con riserva”.
In alcune facoltà gli iscritti aumentarono del 50 %, costringendo i rettori a lezioni in streaming.
Nel 2016, con una decisione epocale, lo stesso TAR fece entrare circa 9 000 studenti esclusi nelle annate 2014-2015: sembrò la fine del numero chiuso, almeno per chi aveva un avvocato dalla propria parte.
Dopo il picco: assestamento e nuove sfide (2017-2019)
Passata la tempesta, il Ministero affinò i protocolli d’aula e la pioggia di ricorsi rallentò, ma non si fermò.
Nel 2017 e 2018 alcuni atenei si ritrovarono addirittura con l’accesso libero per decisione dei giudici, a dimostrazione che la miccia poteva riaccendersi in ogni momento.
Il 2019 riaccese i riflettori: segnalazioni di irregolarità salite del 35 % rispetto all’anno prima, punte ambigue a Roma, Milano e Napoli, e oltre duemila richieste di ricorso raccolte in una sola settimana da un grande network legale.
Eppure, alla fine, gli ammessi in sovrannumero si contarono nell’ordine di poche centinaia: i tribunali cominciavano a stringere le maglie.
La stagione del TOLC-MED e la linea dura dei giudici (2020-2024)
Con la pandemia il numero di posti in graduatoria è salito, ma i ricorsi non sono scomparsi. Nel 2023 è arrivato il TOLC-MED, test computer-based ripetibile due volte l’anno.
Nuovo format, vecchi dubbi: picchi di punteggi sospetti in alcune sessioni, ricorsi collettivi presentati a raffica e un TAR inizialmente favorevole.
Nel 2024, però, il Consiglio di Stato ha ribaltato il tavolo: test valido, ricorsi respinti, soprattutto stop ai maxi-ricorsi “eterogenei” con centinaia di studenti dalle situazioni troppo diverse. Il messaggio è chiaro: da ora la strada giudiziaria sarà più selettiva.
Uno sguardo al futuro: la riforma Bernini dal 2025
Il cantiere delle ammissioni non è chiuso. Dal 2025 partirà la cosiddetta riforma Bernini: un semestre universitario di prova aperto a tutti, seguito da un esame-soglia per proseguire a Medicina. Riuscirà a far calare i ricorsi?
Difficile dirlo. Se l’esame finale sarà percepito come trasparente, forse sì; altrimenti gli avvocati troveranno nuove crepe in cui infilarsi. Quel che è certo è che il contenzioso resterà un termometro delle imperfezioni del sistema.
Ricorso oggi: chance reali o terno al lotto?
Visto dall’interno, il ricorso è un’arma a doppio taglio.
Negli anni d’oro poteva sbloccare migliaia di posti; oggi, senza irregolarità macroscopiche, la probabilità di successo è più bassa.
Muoversi costa (da poche decine di euro in un’azione collettiva studentesca a svariate migliaia per un ricorso individuale) e i tempi sono lunghi: prima la sospensiva “con riserva”, poi anni di carte bollate fino alla sentenza definitiva. Se va bene spalanchi le porte; se va male perdi soldi e tempo.
Il consiglio da “amico ” è: valuta caso per caso.
Se eri molto vicino alla soglia, se hai prove concrete di un vizio nella tua aula e se il tuo legale è serio, il ricorso può essere un’opportunità.
Se invece punti sul “tanto qualcun altro ha vinto”, rischi di scoprire che quelle vittorie fanno parte di una stagione irripetibile.